Archivi giornalieri: dicembre 1, 2014

Il senso dei ” ritorni”

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Ouroboros, il serpente che si morde la coda

Ouroboros, il serpente che si morde la coda

Il simbolo esoterico della ciclicità del tempo ha motivato le mie riflessioni e la scrittura di questa breve poesia:

Un eterno ritorno

è la mia vita,

si congiunge l’ inizio

con la fine,

la mia corsa si arrende

ad un finito bivio

di un infinito tempo.

Di fronte all’idea del tempo regolatore e misuratore tassonomico della nostra presenza finita, mi pongo non tanto con ragionamenti filosofici, quanto con riflessioni che nascono dal mio mondo poetico, dal mio “sentire” e dalla mia esperienza. In particolare il tema del “ritorno” assume una connotazione centrale nella mia visione poetica del tempo.

Avverto profondamente il fascino e il senso di un atto volontario, spesso sofferto, di una decisione che coinvolge la libertà dell’ uomo , ma che contestualmente subisce la contraddizione di verificarsi in un tempo infinito mediante atti che nel tempo si ripetono infinite volte. E’ come se tutto fosse già accaduto : esiste solo la possibilità del “qui ed ora”, nell’ attimo presente.

La mia vita è un eterno ritorno ma scorre su un nastro lineare infinito; sono intrappolata nella mia vicenda personale e nella mia costituzione psichica, tuttavia attraverso la rottura della  linearità riesco ad immaginare una circolarità che sfidi  l’ inesorabile corsa del tempo attraverso i ” ritorni “.

Il ritorno, seppure liberatorio, presuppone un avventuroso percorso su sentieri poco battuti, spesso, sconosciuti, abbagliati da miraggi e illusioni, da tentativi protesi alla conoscenza e realizzazione di “sé”.

Il viaggio avviene fuori e dentro me: è l’accumulazione delle esperienze, degli apprendimenti, delle emozioni e delle relazioni; vi sono piccole e grandi cose, spesso ritenute banali, che hanno profondamente inciso sulla mia consapevolezza e sul mio “sentire”, modificando il mio stato iniziale.

Mi sono posta in un continuo “andare”, come un pellegrino verso un santuario in cui deporre l’angoscia, il vuoto avvertito  che ora m’impone di fermare la corsa per ritornare nella mia realtà interiore e dare un senso alle azioni che riempiranno quel vuoto : ero andata lontano e non mi ero accorta che tutto era già qui.

Mi chiedo, allora, il perché dell’infinita linearità dell’abitare nel tempo e quale sia il mio destino se non quello di correre per sempre.

Ma perché ritornare? Non sarebbe più facile proseguire in avanti nell’ebbrezza dei desideri, affamata di conoscenza, senza limiti, attratta da una forza che mi calamita e rende difficile il soffermarsi nella meditazione e nell’osservazione dei miei pensieri. I ritorni sono quindi  le fermate obbligatorie, le crisi dell’esistenza, le solitudini in cui versa il pensiero affaticato dagli eccessi, dall’alienazione, dalla percezione del costante e crescente dolore dell’universo cui sento di appartenere.

Devo fermarmi perché avverto con forza il bisogno di colmare un vuoto interiore e dare spazio alle mie emozioni; non devo essere altro che una presenza perché “Colui che vede l’attimo presente, vede tutto ciò che è avvenuto nell’eternità del tempo” (Marco Aurelio, Pensieri per me stesso).

La soluzione del vuoto sta nell’immergersi in esso con tutta la coscienza e  la consapevolezza, nel prestare attenzione all’angoscia che ha prodotto le mie crisi interiori e nell’accettarle rispondendo alla chiamata del ritorno. Mi ero smarrita, ora ritorno in me stessa , mi fermo e mi distacco a fatica dalle forsennate connessioni del mio agire e dalle più sfrenate sollecitazioni.

Il ritorno mi consente di apprezzare la solitudine come luogo di meditazione che mi pone tra tutti gli altri attimi contemporanei, passati e futuri dell’esistente. In questo luogo i punti di riferimento sono tutti interiori e devo attendere  a lungo,( ecco la misura psicologica del tempo), per avvertire i sintomi pacificatori del ritorno; non basta voler tornare, bisogna saper attendere di essere pienamente consapevoli della possibilità della nuova ripartenza proprio dal punto in cui il tempo  manifesta con benevola morbidezza la sua ciclicità e la sua momentanea sconfitta.