Aspettiamo l’ arrivo del nuovo anno con una sorta di pagana euforia e pensiamo che il magico rito propiziatorio, annunciato dalla comparsa della neve anche presso il mare, dei fuochi d’ artificio, degli odiosi botti e degli eccessi di una notte, possano tagliare in due il tempo esorcizzando il male annidato saldamente nella natura e nell’ uomo.
Propiziamo il favore delle divinità in cui oggi crediamo cercando di interrompere la piatta e faticosa esperienza quotidiana; allentiamo il controllo, ci lasciamo andare un po’, mentre pochi si accorgono del proprio stato di ingiustificata euforia di fronte al trascorrere inesorabile del tempo che noi possiamo solo immaginare attribuendogli caratteristiche di durata.
Non vi è un limite tra ciò che secondo noi termina e ciò che inizia se non nel desiderio e nell’ auspicio di poter modificare mediante l’ idea dell’ “accaduto” i prossimi eventi, assumendo un atteggiamento ottimistico verso la realtà che ci attende e che vive soprattutto al nostro interno; ma se quelle luci, quell’ allegria, quell’ incontrollato accendersi, possono alleviare anche solo per un attimo le sofferenze dell’ anima oppressa dai mille problemi quotidiani; se possono accendere una sia pur momentanea speranza nell’ intravedere e progettare i giorni che verranno; se possono motivare l’ accettazione della nostra realtà personale e segregare altrove l’ idea della morte; se quei segni di festa diventano visione di cambiamento, accettazione, apertura, allora penso che si debba lasciare che tutto avvenga come deve.
Che si dia sfogo agli istinti, che si riaprano le danze intorno ad un piatto di lenticchie, che la taranta si agiti intorno ad un grande fuoco.
Domani è un altro giorno: qualche scoppio di troppo, un po’di gelo in più, un po’ di stanchezza, molte strade da ripulire, noi tutti un giorno più vecchi.
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