Potrei forse vivere per sempre
e mai conoscere la città dell’uomo,
solo alla fine incontrerei l’enigma
della caduta, nel casuale errore,
quando il corpo frana con un gemito
nella sconfitta dello smarrimento.
Qualcuno laverà lo scudo franto
con acqua di trasparente verità
solo in brevi attimi di redenzione;
ma non mi salverà dalla colpa vivente,
dal male oscuro della mia estraneità,
come dio distante, flesso su se stesso
a contemplarsi prima di svanire.
© Marisa Cossu
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