Non un fiume divide
la città celeste
dal dolore dell’uomo,
non un fuoco o un castigo,
ma un assurdo silenzio,
un’afflitta pena d’odio,
il piangente malessere
del vivere ogni giorno con se stessi
e sentirsi smarriti in luoghi alieni.
Ciascuno afferra il suo sospeso segno,
una fatua favilla che rischiara
il timore dell’essere disperso
nel vuoto personale del non-senso;
ma brilla per un tempo troppo breve
il lampo di riflessa luce e scalda il cielo;
ciascuno cerca l’isola felice
fuori di sé e ne segue la traccia
di sogno e di illusione,
personifica Stige come dea
nel tempo che separa le due sponde.
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