Archivio mensile:novembre 2015

Io dimoro

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Alexandre Cabanel, The Evening Angel 1848

La casa attende la notte:

io dimoro in me stessa

come in un nido di rovi;

le spine non mi feriscono

perché il mio corpo è l’ombra

che avvolge impalpabile la sera

e fruga tra i pensieri perduti

per cercarne uno solo

che abbia senso di vita,

uno, in cui tutto sia incluso

e resista alla nebbia del tempo.

©Marisa Cossu

 

Su foglie

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Alfons Mucha, Autunno, 1896

Alfons Mucha, Autunno, 1896

 

Su colorate foglie d’autunno

ci sono i passi  della bambina

che in me cantava voci di bosco,

il vago suono del vento, la trama

dei rami pendenti da un cielo

trapassato da una lama di sole.

Indaghiamo il  limitato universo,

ci appropriamo delle cose che mai

sentiremo allo stesso modo ,

che sedimentano scorie di magia

nella semplice visione interiore

prima che il tempo trasformi

il possibile nucleo del divenire

in quelle che saremo per sempre;

ma altrove ti trascina il tempo

dove il mondo ti mostrerà  volti

di pietra induriti dal male,

una conca d’acqua evaporata,

montagne di sale, dolore vivo,

il ventre vuoto di madri, guerra.

La morte dissimula la vita,

breve illusione di un attimo

creduto eternamente vero,

perché io sia oggi quel che sono,

disincantato groviglio di memorie

abbandonato nelle mani del tempo.

©Marisa Cossu

La comunicazione dell’orrore

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La comunicazione globale dell’orrore arriva sui media prima della ragione, prima dell’odore della morte, prima dello stupore e del terrore.

Raggiunge il cellulare e i tablet di bambini e ragazzi come un video-game, entra nelle case, nelle piazze, nei bar, negli ospedali; ovunque l’orrore è un linguaggio che comunica paura, ansia, frustrazione e rabbia.

L’orrore non aspetta risposte, non chiede, non sceglie un interlocutore: è un messaggio di massa, come la morte e  la violenza che infligge; annichilisce l’individuo, la sua sicurezza; annebbia il pensiero; scatena emozioni forti di estraneità, di dubbio e di odio non solo verso chi comunica ma anche verso la società che riceve quel messaggio senza poter offrire soluzioni immediate.

Sembra che quel messaggio sia venuto dal nulla…ha padri troppo lontani e complici troppo vicini; e poi candele, fiori, inni, lacrime per l’elaborazione del lutto che difficilmente potrà essere superato senza un lavacro di verità e di passione.

Anche la comunicazione globale del lutto serve alla condivisione virtuale nei rituali con i quali l’individuo e i gruppi esorcizzano il male e credono così di averlo eliminato per sempre.

©Marisa Cossu

 

 

Invisibili

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Magritte-limpero-della-luce[1]

Magritte. L’Impero della luce

Ci sono cose che non vedremo mai.

Ci sono alberi, uomini e città

invisibili, sebbene esistano

in meccanicistiche realtà.

Ci sono uomini e verità

nelle inesplorate cavità

della conoscenza imperfetta,

che non sanno di vivere

e non sanno che noi viviamo.

Ciò che non incontriamo

sullo stesso nastro del tempo

o nelle remote dimensioni

dell’ anima, non ci appartiene

se non nell’egocentrico valore

della contemplazione di noi stessi.

©Marisa Cossu

 

I ponti

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tronto2[1]

Il fascino dei ponti,

quando l’acqua si gonfia,

straripa dagli argini

e gli archi restano nell’aria

sospesi come navi di pietra

spezzate dalla tempesta,

affondano nel vortice dei flutti.

Su questi ponti immagino

la mia dimora di non senso,

travolta con te nell’incanto del vuoto,

due in uno, anima e corpo.

l’io e il tu, nel lento annullarsi

di pietra dell’esistenza.

Eppure qualcosa ha spiccato il volo

in alto nel cupo azzurro della notte,

 non saprei dire se è pietra o alito

parola o carne, anima o corpo,

quale doppio di me

si sia disciolto per ritornare.

Da ore penso di lasciarmi andare,

di avvolgermi nella piena del fiume,

ma tutto accade senza che sia  voluto:

è necessario stringerti in questo nulla

dov’ è  l’eternità tra  vita e  morte.

©Marisa Cossu

Non sei tu

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Frida Kahlo, Il Sogno, 1940

Frida Kahlo, Il Sogno, 1940

Non sei tu che dormi accanto a me:

in un sonno tranquillo giace il bambino

abbandonato nelle mani del tempo

che a me torna abbracciato come ad una madre.

Tu dormi, io ti guardo nella consuetudine

di averti accanto ogni notte e non conoscere

l’addormentato silenzio dei tuoi occhi.

Il tempo ci divide, mio caro,

tu sosti nella sognante dimensione dell’altro da me

e vai per una strada di ombre insensate;

io resto in questa stanza e ti guardo.

Io resto tra pareti reali, lenzuola, libri;

ti vivo per un’eternità di veglia,

invento gesti d’amore da dedicarti.

Entrano da indiscrete fessure filtri di sole

a ricordare la vita, quella fuori di noi,

quella in cui  necessariamente saremo soli.

©Marisa Cossu

 

 

 

 

 

La pioggia

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Leonid Afremov, il pittore della pioggia. Impressionista contemporaneo.

Leonid Afremov, il pittore della pioggia. Impressionista contemporaneo.

La pioggia scivola sulle cose

dissemina in rigagnoli le foglie;

passano anime e ombre

in una coltre bianca,

sul davanzale cade una goccia

una piccola pietra liquida,

cade e io scrivo…

l’acqua è inchiostro delle parole

la pagina bacia i fili di cielo

venuti a ispirare la fantasia.

La goccia scava, io scrivo;

scava nell’intimo indurito,

da ore buca il resistente spessore

della mia cecità ,

ora  vedo ciò che risorge,

un verde bagliore di bellezza,

la terra ammorbidita ed aulente

e uccelli alla finestra

tra gelsomini rampicanti.

Io scrivo, la goccia cade e scava

e tu sei nel lieve movimento del vento

che rigonfia la pioggia,

nell’onda trasparente  del tuo respiro,

sei nel punto in cui la goccia tocca l’abisso.

Se appare il vuoto o la morte,

goccia dopo goccia io scrivo,

di te scrivo che sei pioggia e vento,

albero e terra, nulla e tutto,

e  penso di essere altrove.

Marisa Cossu ( “Attraverso pareti di pietra” SBC Akea edizioni)

 

 

 

Memoria

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" Vola alta parola"

640px-Giotto_-_Scrovegni_-_-36-_-_Lamentation_(The_Mourning_of_Christ)[1] Giotto, Compianto sul Cristo Morto affresco

                                                                                           Cappella degli Scrovegni 1303-1305

Qui mi confronto

con il granito,

custode della morte;

al suo volto di pietra

congiungo la mia immagine

nel profondo silenzio

in cui scava la fredda realtà

che sottrae all’ anima

la musica e la luce

e le conserva

in un giorno d’ autunno,

nella pioggia di fiori

caduta sul ricordo.

Fingo che sia vita

anche questo mistero

che allunga la sua ombra

sulla fine del tempo.

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