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G. De Chirico, Monumento al poeta, 1969
Come l’amore, la poesia è la più alta e nobile creazione dell’uomo e la libertà è uno dei prerequisiti fondamentali di questa imperscrutabile esperienza; tuttavia i poeti non si sentono mai completamente liberi, né appagati o tanto meno felici, mentre, nell’apparente addormentamento delle passioni, cercano in solitudine di poter guardare oltre i limiti fisici per cogliere i tratti e i segnali dell’infinito. Essi intuiscono, sentono, di essere atomi dell’universo e chiedono al mondo invisibile di svelare il mistero custodito nella coscienza universale. A volte il loro canto non riesce a levarsi più in alto del foglio su cui scrivono le parole o le stesse vengono usate naturalmente, quasi i poeti fossero padroni e gestori di un linguaggio fortemente comunicativo ed empatico. Spesso i poeti incontrano la banalità, l’ovvietà, la retorica, i limiti in cui sono costretti dalla loro inadeguatezza o dalle rigide regole di una malintesa tradizione letteraria e si attorcigliano in un grande senso di frustrazione. Ma è qui che può nascere il messaggio: ai poeti si addice l’assenza, la privazione, l’incompiutezza e soltanto nella spirale che dall’esterno sensibile conduce alla visione interiore, trovano qualcosa che completi e dia senso al concreto che dissimula, sovverte la realtà con i suoi dati soggettivi. Fuori c’è l’identico, lo statico, l’accaduto, l’irrecuperabile se non attraverso lampi di memoria, cicatrici di sentimenti ed emozioni; dentro c’è il delirio del movimento, l’azione che vuole irrompere, le cose non circoscritte, una complessa organizzazione che, alla pari della complessità universale, va alla ricerca dell’essenza, del semplice. In questa esperienza di continua ricerca dentro e fuori di sé, il poeta vive una liquida e visionaria intuizione che lo aiuta a riconoscere i “sintomi dell’estetico”, a percepire le costanti, le ragioni della bellezza e restituisce dignità e speranza alla sua scrittura. Questa è la zona in cui egli prova il furore della passione e il senso del distacco necessario alla comunicazione poetica; soltanto qui l’amore e la morte dichiarano di essere facce della stessa esperienza e il limitato mondo di ciascuno si confronta con la vivente contraddizione su cui tutto si regge.
©Marisa Cossu
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