Un saggio su Elsa Morante ( EUTERPE, rivista letteraria) a cura di Marisa Cossu
ALIBI, la poesia dimenticata
“Se, dunque, si è indotta a pubblicare questi versi [ …] l’Autrice lo ha fatto soltanto nella speranza di rendere a chi legge, un poco di riposo, e di divertimento, che lei stessa ne ha tratto …”
(Elsa Morante, Alibi)
Alibi è allora “… un divertimento al quale essa ama talvolta abbandonarsi senza troppo impegno, per piacere della musica” (Elsa Morante, Alibi).
Per troppo tempo la poesia di Elsa Morante è stata considerata come qualcosa di estraneo all’appartenenza dell’autrice alla casta degli scrittori professionisti, mentre i “veri poeti”, quelli laureati da una vasta e corposa produzione, non si occuparono più di tanto di Alibi e Narciso, un breve fascicolo nato subito dopo il primo.
Alibi fu pubblicato nel 1958 da Longanesi ed uscì contemporaneamente dalla stessa casa editrice, a L’usignuolo della Chiesa cattolica di Pasolini e a Croce e delizia di Sandro Penna; in un primo momento grande fu il clamore intorno all’evento per l’eccezionale trittico, ma presto la Morante poetessa fu dimenticata.
Alibi fu letto come uno sfogo intimistico ed archiviato tra la produzione minore, appunto una poesia dimenticata.
La riscoperta della poesia di Elsa Morante è dovuta al ripensamento e all’accortezza di Cesare Garboli che nell’introduzione al libro, pubblicato per Einaudi nel 2004, si dichiara responsabile di “aver sottovalutato Alibi, di averlo penalizzato, di averlo gettato nello scaffale dopo un’occhiata distratta …”.
Le ragioni del ripensamento del critico avvennero per l’interesse culturale maturato nel tempo con la riconsiderazione dell’intera produzione letteraria di Elsa Morante. Il Garboli, nell’introduzione ad Alibi, afferma di prediligere la poesia in rima, la metrica tradizionale, e questa scusante investe di maggiore interesse le motivazioni alla valorizzazione di Alibi. Il libro è un canto tormentato e profetico sull’amore. E sono amori destabilizzanti, amori come “infezioni” e malattie dell’anima, quelli descritti dall’Autrice. Lo stesso titolo, Alibi rappresenta la metafora del vuoto sentimentale e dell’incompiutezza delle passioni, dietro l’infingimento della poesia. Gli stessi brani sono il riflesso, o l’eco, della sua narrativa e nascono dalle emozioni delle storie che restano vive nell’animo della Morante, come parti essenziali della sua personalità e della sua scrittura: un gioco in cui ogni parte conclusiva si lega all’introduzione di una nuova opera.
L’io profondo legato al misterioso fato, conduce l’Autrice a pensare in una dimensione “di vaticinio”in cui si affaccia il vuoto degli amori finiti nel nulla e la nascosta, e spesso irridente speranza, da proiettare nel futuro, delle emozioni e delle esperienze tragiche di delusione e depressione, vissute in alternativa alla vita vera.
Solo a tratti una grazia velata da ironia, come nella poesia”Minna la siamese” appare nel consolatorio abbandono:
“Ho una bestiola, una gatta: il suo nome è Minna
e ciò che le metto nella scodella, essa mangia,
e ciò che le metto nella scodella , beve …”
Qui l’amore appare rivestito della gioia di lasciarsi amare : basta poco a rendere felice Minna! Unghie per una carezza e denti adoperati “solo per gioco”.
Ma l’amore non è così semplice ed assoluto: è reciprocità pensata e voluta, un continuo rimando a metafore di situazioni amorose, a miti e leggende.
“Solo chi ama conosce,povero chi non ama” scrive in una composizione dettata dalla storia d’amore con Visconti. L’amore e la conoscenza sono le facce di una stessa medaglia, sia nel senso che un filosofo potrebbe attribuire all’affermazione, sia nel senso psicologico di un’ incapacità a conoscere la persona amata e, nel contempo, la difficoltà a riconoscere se stessa perché non amata. L’incipit di Alibi succede al precedente libro, Avventura. Fino ad ora, le poesie di Elsa Morante avevano raccontato l’amore come schiavitù, come esaltazione dell’annullarsi nell’accettazione dell’altro.
Con Alibi la riflessione amara prende il sopravvento e la poesia assume una disincantata evoluzione da cui emergerà Narciso come appendice e conclusione del tentativo di autoreferenzialità ; un gioco di scatole cinesi la scrittura poetica della Morante che trae sempre altra materia per nuove conclusioni. In questo percorso si attua una specie di uscita dal male, dal nulla e dall’impossibilità di amare: il conflitto viene superato dalla contiguità tra immaginazione e verità, in cui si risolve infine l’infingimento necessario a mescolare i due riferimenti vitali. In Amuleto leggiamo la distanza tra l’idea dell’amore e la realtà di un deludente rapporto. Scritta nel 1945, propone la sua “assenza”, il non essere vista e amata mentre l’amore incompiuto si congiunge alla “sorte”ed entrambi sprofondano nell’interiorità dell’Autrice:
“Quando tu passi, e mi chiami,
assente son io.
Per lunghe ore ti aspetto,
e tu, distratto, sei altrove”
Due anni dopo, scrive Finzione dedicata ad Anna, il personaggio del romanzo Menzogna e sortilegio cui fa da avantesto:
Di te , finzione mi cingo,
fatua veste.
Ti lavoro con l’aure piume
che vestì prima di esser fuoco
la mia grande stagione defunta
per mutarmi in fenice lucente.
L’ago è rovente, la tela è fumo.
Consunta fra i suoi cerchi d’oro
Giace la vanesia mano
pur se al gioco di m’ama non m’ama
la risposta celeste
mi fingo.
Il testo spiega la poetica visionaria passione dell’Autrice per le pene di amori immaginari e impossibili. Una finzione è la vita, sia pure nelle ceneri dell’incendio dell’animo e del corpo. Un testo ermetico, corrispondente alla chiusura in sé della scrittrice, alla tristezza genuina proiettata verso il futuro come un sortilegio. La Morante ci introduce in un magico incantamento proteso alla precognizione del destino. Sa di non poter essere felice, ma si riveste delle tracce di altri amori, di altre storie, quelle vissute dai realistici personaggi dei suoi romanzi.
Marisa Cossu
Bibliografia
-Elsa Morante, Alibi
-In appendice: Quaderno inedito di Narciso – Ed. Einaudi
-Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzini e altri poemi – Ed. Einaudi
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