
Paestum
Senza tempo
Forse nessuno prima aveva visto
sostare sulla riva un vecchio cieco,
un uomo antico, un mitico poeta,
mentre rivolto al mare
ne ascoltava la voce
e ne cantava assorto, le avventure,
il risonante sciogliersi dell’onda
in schiuma di memoria.
Con lui era già il mio canto di fanciullo,
il lancio delle pietre a pelo d’acqua
o nell’esigua ampolla
che dalle rocce in mare si riversa.
Era il Galeso, amato dai poeti
per il dolce falerno,
il luogo a me più caro.
E il mito era già lì,
con me veniva tra voci di vento
in un libro consunto,
un De Chirico falso degli sposi
nell’ abbraccio d’addio.
Nessuno aveva visto a me vicina
Andromaca tremante:
nel fragore dei flutti cade il pianto
che di dolore muove e gonfia l’onda.
Fulgido scudo ancora in me risplende
e il tempo non esiste:
il tutto regna insieme,
anche il mio smarrimento
vile, che via facendo, perde il senso
di ciò che meraviglia.
Se tutto scorre, sulle pietre resta
tra salici piangenti la presenza
del canto che mi danza in petto adesso,
qui, dove si dipana il libro informe
del mio pensiero vano.
Marisa Cossu
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