Alla fine cerco di arrivare
senza maledire questo tempo privo di luce,
la manciata d’ombra gettata nel nulla per confondermi
e vivo nell’attesa della notte che viene furtiva
dalle remote profondità con un carico
di pesanti condizioni, con i se e con i forse
delle ore che restano ibridate dalla vita
con i segni indelebili dell’accaduto,
con la festa che copre l’acre odore della morte.
Neanche maledico il dolore, mio e degli altri uomini,
so che nasce dall’inferno cruciale dell’essere presenti,
fragili creature connaturate all’apparire,
legate con catene ad immagini
che indossiamo correndo verso un fine che ci misura
nella sua metrica infallibile e ci regala lampi di stupore.
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