
Frida Kahlo, autoritratto con vestito di velluto
I quadri mi guardano dalle pareti
con l’immobilità definitiva dei morti:
sono madri, padri, fratelli e sorridono
a tutti e a nessuno con rigide labbra
di un rosso sbiadito, enigmatico e stanco,
ora oggetti, mattoni colorati sui muri
come non fossero mai stati emozioni,
sangue dell’esistenza, liberi solo nell’aria
che li attraversa in un filo di sole.
Traspaiono da finestre sempre aperte
impolverate e statiche, sul mondo dei vivi,
replicanti inconsapevoli del dolore, destinati
a ripetersi come se nulla fosse accaduto
sullo sfondo di un momento di distacco.
Essi resistono nell’abitudine di essere visti,
ma non guardati, oltre il loro tempo,
come interroganti icone della memoria
dove ogni parola spenta si riaccende
nell’ oltre cui trattengo il mio pensiero;
la risposta a me stessa è camminare
sulle impronte del loro ieri esistito;
forse la vita è altrove, in luoghi indefiniti
ed io sono soltanto un timido riflesso
del loro essere immutabili e freddi
nella distante dimensione dell’ oltre.
©Marisa Cossu
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