
Frank Dicksee, Romeo and Juliet, 1884
” Oh Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo !?
Rinnega tuo padre e rifiuta il tuo nome,
oppure, se non vuoi, giura che sei mio e smetterò io
d’essere una Capuleti “
( W. Shakespeare, Romeo e Giulietta)
Penso che, come Giulietta, la poesia esiga dal poeta il rinnegamento di sé per un amore esclusivo e totalizzante, l’unico capace di generare emozioni fondamentali e di ricondurre l’artista alla perduta essenzialità, alla sacralità poetica.
Anche al tempo di internet la poesia continua ad esprimere i valori della “città” perduta e con la sua forza evocativa si addentra nella sfera dei sentimenti e delle emozioni, conservando il necessario distacco.
Con un linguaggio sempre nuovo, quello del suo tempo, il poeta parla ancora e sempre della bellezza, del dolore, della morte, dell’amore, testimone della realtà e della società in cui esprime e comunica la propria estraneità, l’assenza, il malessere di chi si pone domande cui la parola non può dare risposta, mentre la crisi perdura e si aggroviglia in trame di frustrazione.
Il poeta deve guardare in se stesso per un necessario esame di coscienza, un ripensamento, teso a restituire alla poesia il suo ruolo sociale e a favorirne il ritorno da un volontario esilio; perché, se è vero che oggi circoli sui media un numero esponenziale di composizioni poetiche, è anche vero che, spesso, la qualità soffra l’abitudine alla velocità e alla superficialità proprie di un certo tipo di comunicazione.
E’ anche vero che il poeta non sia mai padrone della sua poesia che, una volta pubblicata, appartiene alla comunità dei lettori, come un canto davanti ad una finestra aperta raccolto dai passanti per le strade del mondo. Da questa espropriazione il poeta percepisce la vacuità della sua presenza e il dovere di guardarsi intorno alla scoperta delle piccole cose, delle semplici emozioni, dei segmenti di tempo che si ripetono nel libro della Natura e della vita.
Egli si libera allora dai pregiudizi e riscopre qualche bagliore di verità in ciò che lo circonda e nel rapporto con gli altri, vede che tutto ciò che cercava è nella sua visione interiore; scopre ciò che è davvero essenziale e guarda in viso la sua umanità in solitudine.
© Marisa Cossu
“Rifare l’uomo, questo il problema capitale. Per quelli che credono alla poesia come a un gioco letterario, che considerano ancora il poeta un estraneo alla vita, uno che sale di notte le scalette della sua torre per speculare il cosmo, diciamo che il tempo delle ” speculazioni” è finito. Rifare l’uomo, questo è l’impegno”.
(Salvatore Quasimodo)
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