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Forse nulla conosco

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ilsegretodoppio[1]
Magritte, Il segreto doppio

 

Forse nulla conosco

del mondo naturale e artificiale

se in greve oscurità sempre mi perdo

tra sentimenti che mi fanno male;

pur se gioiosi, intorno li disperdo.

Occulto la mia pena all’altrui sguardo,

racchiuso nel mio tronco, più non trovo

voce che della vita a me ragioni,

né segno di bellezza che consoli;

rimiro una  fuggevole presenza,

ma l’occhio muta ciò che nella mente

si forma come icona di un’idea.

In grande dubbio poi consumo i giorni,

i mesi, le stagioni:

è più sicuro un giunco del mio cuore

quando lo flette il dondolio del vento.

Così restano beni inconoscibili

le luci accese su lontani porti,

le verità descritte dai sapienti.

Anche l’amore perde le parole

e insieme a me si oscura lentamente.

Marisa Cossu

 

Verità

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Quadro  (allo specchio)

 

Disegnavi con le mani

le tue parole,

i pensieri volavano lievi,

come ali d’uccello

discorrevano sulle labbra

in versi brevi.

 

E sorridevi con gli occhi,

con il corpo illuminato

dall’interno splendore

della tua intima verità,

io già ombra del vissuto

abbandonato alla sera.

 

Non appariva immagine

di forme, linee o punti,

sospesi ai fili delle dita,

destavi senza voce

dal nascondiglio

del tuo essere esistito,

il desiderio di possederti

bene infinito e nudo.

 

Oh divina presenza,

all’apparire ti mostravi vera,

l’essere nell’assenza nascondevi.

Nel divenire incerto della vita,

la mia ombra sbiadiva con la sera

e a me l’avaro tempo ti rubava.

Marisa Cossu

 

 

 

Nessuno

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Nessuno ha mutato in marmo

la mia evanescente presenza,

né ho incontrato un’immagine

del mio essere uguale a se stessa.

Non posso riconoscermi

se non nell’altro da me,

in linguaggi lontani, in segni,

dove sbiadiscono i contorni

della differenza e gli opposti

sono unica cosa nella realtà

non visibile del mio pensiero.

La coscienza

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277452[1]

” Tutto si fonda su alcune idee che si fanno temere

e che non si possono guardare in faccia”.

( Paul Valèy )

Notte. Mi trovo in una stanza buia rischiarata in un angolo da una flebile fiammella riflessa in uno specchio vuoto.

Sono ferma, immobile, insicura sul da farsi; la mia esperienza emotiva si svolge tra realtà e irrealtà, agitazione, quiete; ne ho coscienza in modo alterato e sfuggente, ma sono certa di possedere due idee fondamentali da tener presenti: la consapevolezza del Sé e la conoscenza, nel rapporto tra le funzioni cerebrali, la psiche e il mondo esterno.

La mia è coscienza di “qualcosa”; ma forse potrei essere cosciente e consapevole anche senza gli oggetti della mia attenzione; continuerei ad esistere come presenza anche nel buio assoluto della stanza se la candela si spegnesse?

E l’ ombra? L’ombra disegnata alle mie spalle, sul muro e sul pavimento, mi appartiene o è altro da me, indipendente, indifferente al mio essere qui ed ora? E il volto appena visibile nello specchio polveroso è il mio o qualcuno mi guarda per indicarmi la candela, per invitarmi a vedere l’essenziale?

Se la candela finisse di ardere, avrei coscienza della metafora che rappresenta: la morte nella vita, la presenza che continua oltre l’esperienza sensibile. Non oso ancora pensare a questo mistero, non sono pacificata a questa continuità: la restituzione di coscienza e attenzione a ciò che è davvero essenziale. Fissare la candela è un gesto di distensione, riappropriazione e liberazione, che mi suggerisce di non essere condannata al buio quando la tenue fiamma avrà consumato tutto l’ ossigeno.

Fisso il vuoto, il muro, mi guardo dentro, perché ora non c’è altro di più importante da vedere e sentire, se non il silenzio che s’inoltra nell’anima, se non il nuovo inizio, la luce che spegnendosi ha acceso un barlume di coscienza. Così mi estraneo dalle paure, placo il tumulto delle emozioni, mi libero dal senso della mia condanna alla morte, per rifugiarmi in uno spazio interiore vasto e significativo. Mi spoglio dagli automatismi di giudizio e di azione, allento il timore per il futuro e l’ignoto. Prendo coscienza della morte come parte e ritorno della vita, anzi un’unica cosa con essa; forse riesco finalmente a vedere in me un po’ di sincerità.

© Marisa Cossu

La mia ombra

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underwater-study[1]

Glenn Arthur, Underwater-Study Digital Art

L’ombra che unita a me cammina,

fuori da me respira una sua vita,

un’altra come me, sempre vicina,

una forma di nebbia indefinita.

Quale sia tra le due vera presenza

nell’ora in cui la luce lascia l’orma

nessuno sa; forse una è l’assenza,

l’altra in materia pura si trasforma;

né saprò mai se nel suo cuore arda

la voglia di fermarsi presso un albero

a sognare la luce a notte tarda,

o se debba tornare sola e stanca

nel regno sotterraneo della notte;

quando scompare sento che mi manca.

© Marisa Cossu

Ci sorprende…

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Frida Kahalo, Le due Frida   1936

Frida Kahalo, Le due Frida 1936

Ci sorprende talvolta un male oscuro,

la paura di vivere morendo

in una solitudine voluta,

impotenti e reclusi prigionieri,

sconosciuti a noi stessi,invisibili agli altri

che ci sfiorano in fretta indifferenti,

ciascuno nel suo guscio di presenza

nel banale recinto del suo Io.

Siamo ombre tra le quinte del tempo

trasparenti comparse, soffio donato

per un solo istante e svanito nel nulla.

Mi chiedo allora quale sia l’ appiglio

per l’ anima confusa e balbettante,

quali radici aggancino la frana

della nostra fuggevole presenza,

quale bellezza si mostrerà alla fine

con un volto di luce e di speranza

mentre arriva la sera e si distende

sulle ferite aperte dalla vita.

Eppure osiamo tendere ad un faro

acceso da una mano sconosciuta,

per aggrapparci al sogno del domani.