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La coscienza

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” Tutto si fonda su alcune idee che si fanno temere

e che non si possono guardare in faccia”.

( Paul Valèy )

Notte. Mi trovo in una stanza buia rischiarata in un angolo da una flebile fiammella riflessa in uno specchio vuoto.

Sono ferma, immobile, insicura sul da farsi; la mia esperienza emotiva si svolge tra realtà e irrealtà, agitazione, quiete; ne ho coscienza in modo alterato e sfuggente, ma sono certa di possedere due idee fondamentali da tener presenti: la consapevolezza del Sé e la conoscenza, nel rapporto tra le funzioni cerebrali, la psiche e il mondo esterno.

La mia è coscienza di “qualcosa”; ma forse potrei essere cosciente e consapevole anche senza gli oggetti della mia attenzione; continuerei ad esistere come presenza anche nel buio assoluto della stanza se la candela si spegnesse?

E l’ ombra? L’ombra disegnata alle mie spalle, sul muro e sul pavimento, mi appartiene o è altro da me, indipendente, indifferente al mio essere qui ed ora? E il volto appena visibile nello specchio polveroso è il mio o qualcuno mi guarda per indicarmi la candela, per invitarmi a vedere l’essenziale?

Se la candela finisse di ardere, avrei coscienza della metafora che rappresenta: la morte nella vita, la presenza che continua oltre l’esperienza sensibile. Non oso ancora pensare a questo mistero, non sono pacificata a questa continuità: la restituzione di coscienza e attenzione a ciò che è davvero essenziale. Fissare la candela è un gesto di distensione, riappropriazione e liberazione, che mi suggerisce di non essere condannata al buio quando la tenue fiamma avrà consumato tutto l’ ossigeno.

Fisso il vuoto, il muro, mi guardo dentro, perché ora non c’è altro di più importante da vedere e sentire, se non il silenzio che s’inoltra nell’anima, se non il nuovo inizio, la luce che spegnendosi ha acceso un barlume di coscienza. Così mi estraneo dalle paure, placo il tumulto delle emozioni, mi libero dal senso della mia condanna alla morte, per rifugiarmi in uno spazio interiore vasto e significativo. Mi spoglio dagli automatismi di giudizio e di azione, allento il timore per il futuro e l’ignoto. Prendo coscienza della morte come parte e ritorno della vita, anzi un’unica cosa con essa; forse riesco finalmente a vedere in me un po’ di sincerità.

© Marisa Cossu

Memoria persa

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Forse la vita terrà in serbo per me

l’ amaro tempo della memoria persa,

l’ assenza dei ricordi

che labili scompaiono nel vuoto

di una parete bianca;

brandelli, lampi di esistenza

trascorsa a inventarmi il futuro,

ad imparare ad apprendere parole,

il senso delle cose e dell’ amore;

quando a esistere sarà solo lo sforzo

di altri a nominare ciò che è mio ,

a dirmi che allo specchio è la mia ombra

disseccata dal tempo dell’ oro

in cui splendeva il sole e l’ armonia,

a scavare gli affetti che provavo

nella mia indifferente estraneità;

 quando  Il presente si svuota di memoria,

l’assenza riempie l’ arco delle ore

pallide nell’ attesa del nulla che verrà.

So che è così, perché mia madre

mi chiamava ” mamma” e m’ implorava

di condurla a casa da quel luogo

non suo, non più pensato.

La dama della cripta

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La dama della cripta( Marisa Cossu, olio su tela, La Dama della cripta)

Risponde l’eco
con eterna voce
dai remoti antri
della Cripta,
dalle rocce carparee
muschiate e nere
in cui si ferma il tempo
ed il respiro.

Il miracolo di luce
azzurra e forte
mi sorprende dall’alto,
con un pezzo di cielo ormai caduto:
tra le rupi un affresco
divorato dal tempo e dall’incuria,
altero nella vetusta dignità
che abbaglia,
risplende di colori sempre vivi.

Un artista ha dipinto
forme magiche
per narrare una storia
nel futuro
e scrivere
una pagina immortale.
Sono ferma nel tempo,
immota nell’antica
caverna del pensiero.

Infine ecco la donna
dal mantello rosso,
velato il volto,
occhi contemporanei, neri
diretti e accesi …
Trovo me stessa
immersa in uno specchio;
e il mistero del tempo che consola;
è la bellezza
che non può sfiorire.