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COME IMPARAI A LEGGERE

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Peppina, la “servetta”( così si chiamavano in Sardegna a quel tempo le ragazze messe a servizio presso una famiglia più abbiente),  venuta con noi da Pabillonis a Oristano per aiutare mia madre con noi bambine e nelle faccende domestiche, mi guardava atterrita e impotente mentre mi dondolavo a cavalcioni sul  ramo del grosso fico cresciuto nel cortile della casa rosa; avidamente, più per sfida che per gusto, assaporavo un frutto maturo e zuccheroso da cui stillavano gocce di un latticello bianco e appiccicoso.

Era uno dei tanti pomeriggi della calda estate isolana, ormai agli sgoccioli, in cui , mentre i grandi si concedevano un breve riposo all’ interno della casa dalle pareti di un rosa sbiadito dal tempo, le verdi persiane appena accostate, penetrate insieme all’ ombra dal vento marino , io  me ne stavo appollaiata lassù tra il volo di calabroni dalle ali argentee e vibranti, e il passaggio veloce di uccelli che, provenienti dai folti eucaliptus, venivano a beccare al volo i fichi per scomparire dietro il muretto a secco che circondava la casa; accanto al muretto, e non lontano dall’ albero, si era moltiplicata una famiglia di fichi d’ India che mi osservava dai grandi faccioni verdi delle pale spinose sormontate da creste rosse.

Sulla facciata della casa si innalzava una pergola di glicine con grossi pampini viola. Dora, la mia sorellina, se ne stava ai piedi dell’ albero piagnucolando, un grande fiocco rosa tra i capelli, implorandomi di venire giù  stropicciandosi gli occhi lacrimosi e il cola naso con le manine sporche di argilla. Peppina, viso rotondo, occhi neri allarmati come due mandorle schiacciate e due treccine nere appuntate ai lati della testa, ormai paonazza, minacciava di chiamare papà e mamma.

La discesa dall’ albero, come sempre era avvenuto in quei pomeriggi, comportava l’ inizio di una nuova avventura, all’ interno della casa: Dora ed io giocavamo a nasconderci negli armadi o in qualche stanzino buio per niente spaventate dalle  terribili storie che Peppina  ci raccontava per tenerci a freno; poi lei veniva a cercarci e scoprendo i nostri nascondigli giocava con noi come una bambina; ma c’ era un gioco nel quale mi distinguevo per la capacità di arrampicarmi sui mobili del salotto, luogo proibito ai bambini specialmente se molto sporchi.

Lì non si poteva entrare liberamente come in tutte le altre stanze , si stava seduti educatamente ed io immaginavo che vi fossero nascosti i misteri della casa, gli oggetti preziosi i libri che non sapevo ancora leggere; in realtà vi troneggiava una grande libreria sulla quale erano state disposte le poche cose importanti salvate dalla guerra, un vasetto dipinto a mano ereditato dal nonno paterno, qualche statuetta di famiglia e alcuni libri a cui mio padre teneva in  modo particolare.

Era quella un’epoca grama in cui i bisogni dei bambini erano spesso soverchiati dalle esigenze della normale sopravvivenza. Si usciva anche da un periodo in cui i libri da alcuni folli erano stati bruciati e la cultura bandita…la guerra aveva ucciso la speranza e la sapienza e a fatica si cercava di ricostruirle.  Io ero affascinata da quei libri; ma ce n’era uno bellissimo con la copertina azzurra e grandi lettere dorate in rilievo che con l’aiuto di Dora e la complicità di Peppina, riuscivo a sottrarre ogni giorno per sfogliarlo nella nostra cameretta. Nulla mi attraeva di più di quel grosso volume le cui pagine di giorno in giorno divenivano più chiare e familiari…e piaceva anche a Peppina che, avendo frequentato la terza elementare obbligatoria( non si usava allora avviare i bambini precocemente alla lettura e alla scrittura), sapeva già leggere.

Peppina fu la mia prima maestra e mi dischiuse un mondo meraviglioso in cui pensavo di non poter entrare alla soglia dei cinque anni: dopo il piacere dell’ arrampicata colpevole sull’ albero del fico, quelle ore di fantasticherie e di lettura delle illustrazioni di un pittore a suo tempo molto noto, incisero nel mio animo profondamente la voglia di imparare e mi accostarono ai  primi elementi della lettura. Toccavo le parole e le lettere in rilievo con un  piacere ed un’ emozione molto forti, leggevo le illustrazioni inventando storie e ponendo domande a Peppina; a volte Dora si addormentava sul divano e Peppina le pettinava i lunghi capelli.

Ormai immaginavo di sapere tutto su Mario, Cosetta , il Vescovo di Digne, Jean Valjean, e di altri personaggi di quelle storie che avrei riletto molti anni dopo con grande emozione e interesse: le lettere in rilievo scrivevano il titolo e l’ autore: I Miserabili di Victor Hugo; in  alto campeggiava la scritta: 1930- Premio di studio.

Ma torniamo alla narrazione: un pomeriggio dei primi giorni di settembre accadde ciò che da tempo sarebbe dovuto accadere; mentre cercavo di rimettere al suo posto il grosso volume, feci cadere dalla libreria tutti i preziosi oggetti che vi erano stati poggiati, il famoso vasetto perse il manico, Peppina si mise a strillare discolpandosi, Dora incominciò a piangere e i miei apparvero  spaventati nella stanza; nostra madre prese in braccio Dora consolandola con dei baci e portandola via da quella cattivona di Marisa.

Rimasta sola con mio padre pensavo alla giusta punizione in silenzio e preparata al peggio; ma mio padre mi fece sedere su un’ alta seggiola accanto a lui parlandomi come fossi grande; volle che gli raccontassi tutto, così scoprì che già da tempo avevo iniziato a leggere proprio su quel libro così prezioso. Ne fu molto orgoglioso e mi spiegò come e  in quali circostanze avesse ricevuto quel premio; mi disse quanto le storie che avevo iniziato a leggere fossero importanti per lui e per tutti perché descrivevano molte ingiustizie, prepotenze e miserie dell’umanità  e infine,  mi fece dono di quel libro che oggi mi appartiene come una delle più care e sentite eredità legate a ricordi incancellabili: con il vasetto senza manico si trova nella mia libreria.

“Fino a tanto che per effetto delle leggi e dei costumi esisterà una dannazione sociale che crea artificialmente in piena civiltà degli inferni, complicando con una fatalità umana il destino, che è divino; fino a tanto che i tre problemi del secolo: la degradazione dell” uomo in conseguenza del proletariato, l’ abiezione della donna in conseguenza della fame, l’ atrofia morale del fanciullo prodotta dalle tenebre dello spirito, non saranno risolti; fino a tanto che in certe regioni sarà possibile un’ asfissia sociale; in altri termini, e sotto un aspetto più vasto, finchè vi saranno sulla terra ignoranza e miseria, libri come questo non saranno mai inutili”.

VICTOR HUGO, prefazione all’ edizione

Hauteville-House, I Gennaio 1862