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LE CENERI DELL’IO

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Non riposano nelle urne preziose,

sono frammenti di tempo disciolti

in avamposti marini.

Si disperdono nell’eterno fluire

delle cose e restano

vive nelle pietraie dei nuraghes,

nei sottosuoli di sommerse città;

sono macerie già stratificate,

risorte in torri e tralicci ferrosi;

riposano in profondi e oscuri ipogei,

guardano da occhi di antiche pareti,

da affreschi evanescenti,

dove un fuoco acceso da fuggitivi

ha lasciato un’orma di fumo nero

sul muro levigato dalla storia.

E nuda la polvere

si confonde alla terra:

 innalza uno spessore d’identità,

da essa emerge materia costruttrice,

sensibile base del divenire,

un quanto indecifrabile venuto

dalla barbarie di un libro bruciato,

espulso e poi dissolto

nell’infinita logica del tempo.

Marisa Cossu

Spegnermi

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H. Matisse, Icaro 1947

H. Matisse, Icaro 1947

 

E dovrò spegnermi anche stasera,

addormentarmi e poi cedere al sogno,

forse morire un’altra volta,

ritrovare le cose che si perdono

dove cieli di carta e volti bianchi

avvolgono i miti della mente

che in altro modo ripete la realtà.

Sarà forse una traccia,

un frammento indistinto di coscienza

vivente nel nascondersi dell’io,

sogno ed essenza insieme,

immagine e realtà di abiti dismessi,

la cadenza di passi senza peso,

un abbraccio quasi simile al tuo,

forte e sicuro, sentito nell’estinguersi

dell’attimo di un tempo indefinito,

incolore, sbiadito, ormai lontano,

come contorni di lineamenti amati

ancora belli in un soffio d ‘amore,

evanescenti, in una vecchia foto.

Marisa Cossu

 

 

 

 

 

Il silenzio

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R. Guttuso, Mimise che dorme, 1941

Il silenzio genera l’invisibile.

I pensieri prendono forma,

le cose respirano, si animano,

sussurrano il proprio nome,

emergono dall’ombra

e, come stelle fisse,

splendono di luce propria.

Volano nella stanza

le lievi sostanze mai viste,

entrano nel vasto abisso dell’io,

vivono, si nutrono di solitudine

prima che il segno diventi parola,

la parola che scrivo, che sento,

l’unica traccia d’amore.

Marisa Cossu

Le ceneri dell’io

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Anselm Kiefer, I tuoi capelli di cenere, 1981

Le ceneri dell’io

non riposano in urne preziose,

i frammenti del tempo

non le racchiudono per sempre.

Si disperdono in avamposti marini,

nelle pietraie dei nuraghes,

nei sottosuoli delle città,

sono macerie stratificate

risorte in torri e tralicci;

riposano in profondi ipogei,

guardano da occhi di antiche pareti

da un affresco evanescente

dove un fuoco acceso da fuggitivi

ha lasciato un’impronta di fumo

sbiancato dalla luna nelle acque

di un pozzo senza fondo.

La polvere innalza spessore d’identità

e nuda si confonde alla terra,

da essa emerge materia costruttrice,

sensibile  appoggio al divenire,

un quanto indecifrabile espulso

dalla barbarie di un libro bruciato,

sottratto all’apoteosi e poi dissolto

nell’infinita logica del tempo.

©Marisa Cossu

 

 

STUPORE

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Jacob Collins, Tracce sulla neve, 2011

È un quadro la notte:

si gonfia di neve la finestra,

irrompe in silenzio

tra le ceneri dell’io

dimentico della vita,

dei giorni di meraviglia;

e la meraviglia

è nelle cento stanze

edificate dal tempo sullo stupore

del possibile divenire

di un nucleo di pura magia,

dove le parole sono numeri

e i numeri sassi già contati,

ammucchiati nell’accaduto;

ma lo stupore resta nella memoria

di un’altra notte candida

in un lontano paese di mare

dove la neve non esiste

ed appare ad un tratto

nell’incantesimo di un vecchio ulivo

spaccato, imbiancato dalla luna.

©Marisa Cossu